Quando è opportuno cambiare il modo con cui registriamo il bounce rate in una landing page

Nei primi due articoli ho trattato il tasso di conversione ed il comportamento degli utenti con le heatmap. Ma quando si tratta di landing page, in genere tra le prime operazioni che faccio quando la pubblico è la configurazione di alcuni parametri per migliorare la registrazione del bounce rate.

In questo articolo, introduco il problema e nel successivo presento la soluzione.

Cos’è il bounce rate

Il bounce rate, o tasso di rimbalzo, è quel parametro che mi dice quanti dei miei utenti entrano sul mio sito tramite una determinata pagina ed escono da quella stessa pagina senza aver compiuto alcuna operazione.

Per comprendere meglio come funziona il bounce rate è necessario introdurre un concetto che sta alla base del funzionamento di Google Analytics: l’hit.

L’hit di Google Analytics

Un hit è l’informazione minima che Google Analytics riceve ogni volta che un utente compie un’operazione sul nostro sito (una qualsiasi operazione).

Se vuoi approfondire, in questo video trovi un po’ di spiegazioni dettagliate (puoi guardarlo anche più tardi, non è fondamentale per questo articolo)

Il punto è che, per impostazione predefinita, il codice di Google Analytics che abbiamo inserito su tutte le nostre pagine, genera un hit per ogni pagina visitata.

Apriamo una pagina… viene inviato un hit.

Da qui, apriamo una seconda pagina… viene generato un secondo hit… e così via.

Quando il tempo tra due hit è inferiore a 30 minuti (anche “30 minuti” è un valore predefinito che possiamo modificare in caso di necessità), allora i due hit fanno parte della stessa sessione. Ogni hit successivo che si verifica entro i 30 minuti, va ad estendere la sessione dell’utente.

L’impostazione dalla quale è possibile modificare il timeout di una sessione. Se due hit successivi avvengono in un intervallo inferiore al valore di timeout, la sessione continua

Ecco che con queste premesse riusciamo a definire un bounce rate in un nuovo modo, più specifico.

Un bounce rate viene conteggiato ogni volta che una sessione contiene un solo hit.

Bounce rate e landing page

Per quanto detto sopra, il problema dovrebbe essere abbastanza chiaro. Una landing page è spesso una pagina unica, che accoglie traffico e ne converte una parte. Immaginiamo che la “conversione” consista nel compilare un modulo con i propri dati e che, dopo aver premuto il pulsante invio, si atterri sulla classica thank you page, la pagina di ringraziamento.

Il bounce rate sulla landing page è in genere altissimo, tanto più alto quanto minore sarà il tasso di conversione.

Però, c’è un però.

Quando un utente atterra sulla nostra landing page, una landing page anche lunga, che accompagna l’utente nel percorso di approfondimento che va dal superare l’ostacolo dei primi 5 secondi via via fino alla call to action… ecco, quando un utente atterra su una landing page così, che valore diamo noi anche ad un semplice scroll della pagina?

Ti ho spiegato prima come viene calcolato tecnicamente il bounce rate. Il punto è il significato che attribuiamo al bounce rate.

Se riteniamo che il bounce rate sia il tasso di utenti che visitano il nostro sito e ne escono senza visitare altre pagine, allora ok. Non dobbiamo fare nulla.

Ma se riteniamo invece (e soprattutto per le landing page) che il bounce rate sia il tasso di utenti che visitano il nostro sito e ne escono senza compiere altre azioni (quindi una definizione più generica), allora dobbiamo effettuare qualche modifica.

Stabilire quali sono le azioni di valore

Ecco quindi qual è il punto. Quali sono le azioni di valore per noi? Su una landing page, in alcuni casi, ha senso considerare un’azione lo scroll della pagina e quindi generare un hit da inviare a Google Analytics anche per lo scroll?

Perchè? Perchè una landing page ha logiche completamente diverse dal resto del sito. Perchè spesso il traffico sulla landing page proviene da sorgenti a pagamento, magari da annunci sponsorizzati su rete di ricerca di Google Ads.

E questo potrebbe voler dire che la nostra è solo una delle (molte) pagine che un utente sta aprendo contemporaneamente durante la sua sessione di ricerca. Dobbiamo superare il rumore di fondo, superare i messaggi degli altri concorrenti. E quando un utente scrolla la nostra pagina, magari arrivando a leggere il 50% della pagina (o resta sulla nostra pagina per 30 secondi), ecco, in quel caso lo dobbiamo considerare comunque un risultato.

Il valore di uno scroll

Lo facciamo perchè sappiamo realmente il valore di uno scroll.

Valore che non cambierebbe nemmeno se il traffico arrivasse magari da un clic di una campagna display, quando l’utente sta pensando ad altro. Anche in questo caso, riuscire a coinvolgere un utente che stava pensando ad altro è un grande risultato, anche se – in questo caso – magari non dobbiamo confrontarci con pagine di altri concorrenti.

Insomma, che si tratti di uno scroll, di tempo sulla pagina o di clic su certi elementi (ad esempio per espandere delle porzioni di pagina), se queste azioni rappresentano un valore, vale la pena generare un hit che riduca il bounce rate.

D’altronde, immagina di suddividere la tua lunga landing page in tante pagine più corte e di fare in modo di creare una sorta di navigazione passo passo, che, dalla fine di una pagina ti porta all’inizio della successiva e così via.

Meglio evitare una struttura di questo tipo per mantenere l’esperienza più fluida e non creare inutili barriere, ma concettualmente se lo facessimo, avremmo ugualmente il bounce rate ridotto.

Conclusioni

Giunti a questo punto, se la mia argomentazione ti ha convinto, ti invito nel prossimo articolo dove ti mostrerò come fare a modificare il calcolo del bounce rate in Google Analytics, utilizzando Google Tag Manager.