Marketing strategico e risultati immediati

Elliott Clayton, Senior Vice President di Conversant (un’agenzia inglese che ha supportato Domino’s Pizza in una recente campagna display che ha ottenuto un ROI superiore a 10) ha dichiarato

Ci siamo presi il ​​tempo necessario per entrare davvero nella pelle del business di Domino e capire veramente le sue sfide operative e commerciali prima di delineare la migliore strategia.

Elliott Clayton

Ecco… voglio partire proprio da queste parole per arrivare a darti il mio punto di vista su un punto fondamentale dell’attività di marketing che trovi nelle conclusioni.

“Ci siamo presi il tempo necessario…”

È il tema del tempo. Quando si parla di marketing, sono ancora poche purtroppo le aziende che hanno la consapevolezza del tempo necessario per ottenere dei risultati.

Certo, se si parla di marketing operativo – se è l’azienda che mi dice “fai questo e fallo in questo modo” – è un discorso.

Altrimenti, il marketing ha bisogno di tempo per portare dei risultati. Portare in outsourcing il marketing affidandosi ad agenzie o specialisti qualificati ha il vantaggio di avere costi che eventualmente si possono anche interrompere in tempi rapidi, e, soprattutto, di poter attingere a diverse competenze molto specializzate e costantemente aggiornate.

Ma il fatto di essere degli specialisti nel marketing non significa che non serva tempo. Anzi, proprio perchè si conoscono bene le tecniche e gli strumenti, proprio perchè si hanno dei processi di analisi ben definiti, è necessario del tempo.

Impostare una campagna marketing in Google Ads o su Facebook quanto richiede? Una giornata di lavoro? 5 giorni perchè vogliamo metterci anche la creazione di un po’ di immagini e di un whitepaper? 15 giorni perchè dobbiamo girare un video?

Ok. Ma… e tutto il lavoro prima?
Ci stiamo forse dimenticando di tutto il tempo che è servito per arrivare a capire che:

  • Facebook fosse il canale giusto?
  • Il whitepaper fosse il lead magnet ideale per catturare l’attenzione di un certo pubblico?
  • Il video su YouTube fosse il giusto contenuto da affiancare agli altri canali?

Qualcuno deve pur decidere cosa fare. E una volta deciso si è solo all’inizio. Funzionerà? Sarà la scelta giusta?

E questo vale anche per la campagna che ha realizzato Conversant per Domino’s Pizza. La storia racconta che la campagna ha generato quei risultati in tre mesi. Ma questo è il tempo della sola campagna di comunicazione. È quello che hanno visto gli utenti finali.

Non sappiamo nulla di quanto tempo sia durata l’analisi, di quali e quanti test siano stati fatti prima e di quali e quanti eventuali cambi di direzione.

E soprattutto, considera che qui stiamo parlando di un’azienda con un brand forte (quantomeno in UK dove è stata effettuata la campagna).

La stessa campagna in un contesto diverso (ad esempio qui in Italia dove il brand non è così conosciuto e dove la pizza è quasi una religione), avrebbe portato a risultati certamente diversi.

“…per entrare davvero nella pelle del business…”

Quando un’azienda si affida ad un’agenzia esterna, fosse anche l’agenzia numero uno al mondo, affinché l’agenzia possa diventare efficace, l’azienda deve permetterle di entrare all’interno dei propri meccanismi (direi quasi che debba pretendere che entri nei meccanismi).

Deve diventare parte dell’azienda. Deve conoscere profondamente quel business, le tipologie di clienti, i competitor, i problemi ed i limiti del mercato.

Bisogna parlare con le persone dell’azienda, dall’imprenditore/amministratore delegato, ai responsabili di prodotto. Da chi risponde al customer care (ed è quindi a contatto anche con le criticità del prodotto dell’azienda) alle vendite che possono darti la loro visione sul perché un competitor stia andando meglio o peggio.

La specializzazione può essere un vantaggio in alcuni contesti, ma le esperienze eterogenee non sono da meno. Quelle esperienze che possono portare contaminazione con idee nuove, magari in un contesto stagnante.

“…e capire le sfide operative e commerciali…”

Le informazioni raccolte parlando con le persone in azienda sono solo il primo passo. La punta dell’iceberg.

Spesso, alcune letture che escono dall’azienda non sono corrette.

Non sono corrette per mancanza di strumenti tecnici di analisi. Non sono corrette perchè le competenze che si hanno, sono relative al core business e non ad altri aspetti che magari si tendono a sottovalutare.

Non sono corrette perchè talvolta alcuni aspetti proprio non si vedono.

La prendo larga.

Immaginiamo di essere una persona appassionata di interior design. Di seguire diverse rubriche di arredamento (in TV, sul YouTube, qualche blog, su Instagram).
Insomma, pensiamo di saperne (cioè… noi siamo convinti di essere esperti, anche e in realtà non è così).

Però, siamo una persona appassionata che, alla fine, magari senza rendersene conto, segue sempre lo stesso “trend”, come lo shabby chic.

Lo shabby chic è uno stile di design degli interni in cui mobili, accessori e arredi sono scelti per il loro aspetto invecchiato e usurato (grazie wikipedia)

Un giorno chiediamo un’opinione ad un esperto di interior design, che si occupa di allestire fiere, eventi, negozi e locali.

L’esperto ci fa delle domande. Cerca di capire quali sono i nostri obiettivi (i nostri veri obiettivi, che talvolta non riusciamo a mettere a fuoco o nemmeno pensavamo di avere – credimi, è così).
Parla con le altre persone che vivono in casa.
Magari trascorre anche qualche ora insieme a noi, per “vivere la casa” mentre accogliamo qualche ospite.

E Bam!

Ci sorprende. Noi, convinti di sapere tutto quello che c’è da sapere, aggiornati fino all’ultima novità, non avevamo pensato a quel particolare. A quella soluzione.

Questo è solo un esempio – banale se vuoi – del valore che può portare un esperto di marketing in azienda, quando gli si permette di entrare nei processi di business. Quando lo si fa “vivere” l’azienda per un po’, coinvolgendolo e dandogli il tempo di essere coinvolto.

“…prima di delineare la migliore strategia”

Perché è solo dopo aver compreso bene dove si vuole arrivare, come è fatta la strada che si vuole percorrere e come è fatto l’ambiente tutto intorno (che presenta magari delle strade alternative), si può stabilire una tabella di marcia.

E, rimanendo nella metafora, è necessario anche essere preparati a modificare la tabella durante il viaggio, perchè l’ambiente nel quale ci muoviamo è dinamico.

È fatto di concorrenti che non stanno a guardare.

È fatto di persone con bisogni e interessi diversi, che cambiano nel tempo.

È fatto di imprevisti che possono rendere la strada impraticabile.

La “migliore strategia” quindi deve essere supportata anche da capacità di analisi che permettano di monitorare il percorso e di capire se quello che si vede in lontananza è un problema oppure no.

Conclusioni

In sintesi, direi che a livello macro, le attività che si possono richiedere al marketing sono due:

  • marketing operativo: rapido e lineare. Qui si tratta di guidare l’auto, di fare manutenzione, di mettere la benzina e di controllare le gomme. Non è l’agenzia che sceglie il modello di auto. Che sceglie la strada da percorrere. Che sceglie la meta. Qualcuno ha chiesto all’agenzia di farlo e qualcuno dell’agenzia lo fa perché è bravo a farlo
  • marketing strategico: approfondito e iterativo. Questa è l’attività che viene prima del viaggio (è qui che si sceglie l’auto, la destinazione e il percorso da compiere). Ma è anche l’attività necessaria durante il viaggio. È il navigatore che ha in mano la mappa. È quello che sa dove ci troviamo e dove si trovano le altre aziende “impegnate nello stesso viaggio”. È quello che può decidere di prendere una nuova strada perché quella che inizialmente era libera ora è intasata e la velocità di crociera è scesa troppo.

Quando queste due attività non si separano (e spesso ahimè non si separano) succedono disastri.

Talvolta chi guida è anche chi decide. Ma l’azienda che dà l’incarico di farsi portare a destinazione deve saper distinguere le due attività, oppure deve ascoltare il professionista che cerca di farglielo capire.


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